Sta diventando un costo, l’attesa sui dazi a stelle e strisce, con Donald Trump che continua a usarli come fossero un’arma. All’accelerata di gennaio è seguita la frenata di febbraio. Adesso il vento del protezionismo ha ripreso a soffiare con la clava del 25% agitata sull’Europa.
L’economia sarda osserva dalla finestra le mosse del presidente americano. Nell’Isola l’export ha pesato nel 2024 6,7 miliardi, in crescita dello 0,8% rispetto all’anno precedente. Ma il 78% del business oltrefrontiera è assorbito dai raffinati. Petrolio e “cugini”. La Saras, insomma. Sono 5,2 miliardi. Il resto è spalmato su vari asset. Valore: un miliardo e mezzo. Dall’agroalimentare ai vini passando per nautica e sughero.
«Il punto è semplice – dice Andrea Monticini, professore ordinario di Econometria finanziaria all’Università Cattolica di Milano -: allo stato attuale non è chiaro come i dazi Usa verranno applicati. Un dilemma per le imprese, costrette a stare ferme. In assenza di certezze, non si può decidere quanto esportare e quindi quanto produrre». Tradotto in soldoni, l’esposizione al rischio cresce.
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